Un esperimento letterario riuscito è quello rappresentato dall’antologia di recente pubblicazione “In giro per la Sicilia in lambretta”, per i tipi della casa editrice Affiori. Accattivante il titolo che incuriosisce il lettore di ogni età: i più giovani si chiederanno infatti cosa sia la “lambretta”, quelli con maggiore esperienza di vita, che hanno però ricordi ormai sbiaditi, si sbalordiranno per come un vecchio scooter, ormai fuori produzione da oltre mezzo secolo, abbia potuto percorrere le strade dell’isola, che conosciamo essere in larga parte disastrate. Ma tant’è. Colui che lega i brevi racconti, oltre una ventina, è il protagonista, Bryan, un giovane americano di origini siciliane che gira l’isola alla ricerca delle sue radici e che cerca di vivere alcune atmosfere che ha percepito soltanto dai discorsi dei suoi genitori emigrati in America. Ha familiarità con alcune parole o gerghi dialettali che ascolta durante i suoi incontri con alcuni abitanti dei luoghi più disparati dell’isola. Luoghi più o meno conosciuti ed anche conosciutissimi; tra i meno la borgata di Scillichenti, paese che si trova all’interno del comune di Acireale. Ma di questo episodio nello specifico parleremo dopo. Al netto del fatto che non vi è un filo logico, né una sequenza cronologica e neppure un itinerario ben definito geograficamente (si salta da Messina a Marsala ad Aidone per tornare a Palermo e via così), per la scelta di inserire i racconti in base all’ordine alfabetico dei vari autori, il lettore che si immerge sic et simpliciter nella lettura di singoli brevi episodi autoconclusivi troverà alcune storie particolarmente interessanti e scritte molto bene. Tra queste sicuramene quelle delle acesi Marilena La Rosa e Giusy Torrisi, quest’ultima all’esordio letterario. La prima inscena il proprio racconto nella piazza principale della Città riprendendo, rivedendola e correggendola, la vecchia leggenda della mancanza del secondo campanile nella Basilica di San Pietro. Più che Bryan, che la La Rosa relega al ruolo di comparsa, il vero protagonista è un vecchio sagace e furbo dalla fantasia galoppante e dalla parlantina sciolta. Una di quelle persone che nella vita si è sempre saputo districare, adattandosi alle circostanze e sbarcando sempre il lunario. Insomma, uno che definiremmo “spertu”. Altri protagonisti sono gli arancini, che il lettore quasi assapora immaginandone la fragranza odorosa e la bontà per le papille gustative. L’Autrice descrive anche l’atmosfera della piazza principale acese e l’indolenza che l’avvolge nelle assolate giornate estive, quando l’apatia sembra pervadere anche le antiche mura. La Torrisi invece ambienta la sua narrazione a Scillichenti, paese divenuto famoso per il pane condito, “u pani cunzatu” in dialetto, preparato e somministrato in più locali. L’Autrice, oltre a descrivere minuziosamente la civettuola piazza del borgo con i suoi dettagli e, soprattutto gli avventori pazientemente in fila che escono trionfanti dall’esercizio commerciale con la forma del “cucciddàtu”, fa una piacevole dissertazione di carattere semantico sull’aggettivo “cunzatu”. Sono molteplici le espressioni in siciliano che ricomprendono questo termine, anche nella forma verbale, iniziando da “tavola cunzata” e continuando per “letto cunzatu”. La Torrisi alla fine utilizza in maniera inaspettata e sorprendente il verbo “cunzare”, dando un senso filosofico all’intero episodio. L’Autrice dosa saggiamente i termini vernacolari, non li rende invasivi e fastidiosi alla lettura. D’altronde dopo Camilleri, che usa termini propri della parlata agrigentina, l’impiego di parole o espressioni dialettali è ormai accettato, anche perché, proprio come lo scrittore empedoclino, la Torrisi non lo contrappone all’italiano, di cui ha un’ottima padronanza. Anzi, le varie espressioni, usate lo stretto necessario, arricchiscono il racconto e quindi la narrazione nel suo complesso. Marilena La Rosa e Giusy Torrisi, insegnanti entrambe in istituti secondari, si sono formate prima degli anni universitari in due gloriose scuole acesi, nel Liceo Classico “Gulli e Pennisi” la prima e nell’Istituto Magistrale “Regina Elena” l’altra, sotto valenti docenti allora in servizio. E la loro solida formazione, fatta della serietà negli studi e, sicuramente, di ottime letture, la restituiscono sotto forma di elaborati letterari, la cui produzione speriamo che sia feconda nel tempo. Rodolfo Puglisi